Credenza a tre ante laccata, Francia del nord, XVIII secolo
Il mobile laccato rappresenta una delle più alte espressioni dell'arte mobiliera del XVIII secolo europeo, principalmente in Italia e Francia.
Manifatture di alto livello, linee che seguono le differenti declinazioni stilistiche (Rococò, Neoclassicismo, Direttorio) adeguandosi al gusto del momento sono scolpite dagli ebanisti dell'epoca: a Venezia sono chiamati
marangoni gli intagliatori del legno, i quali lavorano accanto a pittori e decoratori che, a loro volta, imitando la verniciatura a base di lacca, si ispirano all'arte dell'antico Oriente e nello stesso tempo rappresentano paesaggi veneziani e decori floreali.
Caratteristico è il mobile laccato Rococò (a partire dal 1730), con le sue forme curve, i contorni mossi, le finezze dell'ornamentazione mediante l'uso di legni pregiati, intarsiati con motivi di diversa ispirazione, soprattutto orientale.
Ma tutto il secolo XVIII vedrà protagonista il mobile laccato, la cui tecnica artistica verrà ripresa ancora nell'800 e '900.
Anche nel resto d'Europa (Francia, Inghilterra, Olanda, Portogallo) la lacca trova la sua manifestazione nel settore del mobile, favorendo così lo sviluppo di nuove categorie artigianali specializzate in questo campo, di cui godranno fama soprattutto i laccatori veneziani e francesi.
Come nasce l'idea di laccare un mobile? Come si sviluppa tale arte e quali sono le tecniche?
Dobbiamo giungere per gradi… e innanzitutto capire quale origine abbia avuto la lacca e le modalità del suo utilizzo.
Il termine ha etimologia latino-medievale (dal procrito
lakkha e dall'indostano
lakh) e si riferisce ad un prodotto di natura parassitaria, nello specifico a una gommaresina secreta da un insetto della famiglia delle cocciniglie (
tachardia lacca), prolifico nell'Asia sud-orientale (India, Birmania, Indocina, Indonesia, Filippine).
I rami dell'albero della
Rhus vernicifera, su cui tali parassiti giacciono, si rivestono di placche color rosso-violaceo, spesse un cm. Con la raschiatura delle stesse si ricava una gommoresina (detta gommalacca), composta per l'80% da resine e per il rimanente da gomme, cui si aggiungono pigmenti colorati ed olii essenziali.
Tale ricavato, unitamente a olio di semi, era conservato in vasi di legno; dapprincipio la laccatura fu una pratica destinata solo alla funzione di conservazione e protezione di oggetti in materiali deperibili, in seguito divenne una tecnica propriamente artistica decorativa.
Amalgamata con pigmenti colorati costituiva la base della lacca usata dagli artigiani d'Oriente, la cui lavorazione di origine antichissima era estremamente lunga e complessa: il mobile dapprima era sottoposto ad una fase di levigatura e verniciatura con uno strato sottilissimo di mastice e con leggeri fogli di carta o seta. Seguiva la laccatura vera e propria mediante molteplici strati sovrapposti di vernice-lacca (sino a 30 strati circa nelle opere di maggior pregio), prestando cura di far asciugare ogni strato e di levigarlo prima di passare al successivo. Lavorazioni molto lente e articolate accompagnavano la creazione di tali opere per le quali occorrevano anche anni e che necessitavano attuarsi al riparo totale da ogni granello di polvere, tanto da indurre, secondo le narrazioni riportate, i laccatori a realizzare le ultime operazioni nel mezzo di uno specchio d'acqua.
Questo lungo passaggio costituiva, però, solo la base su cui poi era eseguita la decorazione liscia o in rilievo, di solito in oro e con l'uso di pezzi di materiali preziosi quali l'avorio, la madreperla, il corallo, conchiglie e smalti. I disegni raffigurati erano soprattutto di genere fantastico in cui eccelsero cinesi e giapponesi.
Il gusto per l'esotico: la lacca dell'Oriente
I primi rapporti oceanici con l'Estremo Oriente incominciarono nel 1505, quando i portoghesi importarono ed introdussero il gusto per l'esotico nel loro paese.
Contemporaneamente anche gli olandesi avviarono l'importazione di lacche dalla Cina anche direttamente dal Giappone, con cui intrattennero intensi traffici commerciali monopolizzati sino al 1854 usufruendo del porto di Nagasaki quale unica via diretta tra Europa e Giappone.
Il 1598 segna una data importante per l'Olanda, in quanto Giovanni Huyghen Van Linschaten, capeggiando una missione scientifica in India su incarico del re di Portogallo, compì degli studi sulla genesi parassitaria coinvolta nella produzione della lacca.
Al Portogallo e Olanda si unirono ben presto la Francia e l'Inghilterra.
Ma sarà solo a partire dalla metà del '600 con il fiorire delle attività commerciali e delle importazioni delle Compagnie delle Indie che in Europa le lacche iniziarono ad essere conosciute in maggior misura.
Mobiletto in lacca nera e oro con chinoiserie
I grandi viaggiatori, i numerosi mercanti e missionari con i loro racconti contribuirono ad ampliare il fascino di queste terre lontane e alla nascita del gusto per l'esotico; anche se le notizie dei primi viaggi riferiscono poco sulla lacca, sebbene essa rappresentasse tanta parte dell'arte cinese dell'epoca.
In Italia fu Francesco Carletti di Firenze il quale, anticipando di mezzo secolo le relazioni dei missionari che diffusero la conoscenza della lacca orientale, nel corso del suo viaggio in India (1599), prestò particolare attenzione alla stessa, soffermandosi sull'arredo del palazzo del governatore di Goar, fatto di mobili di provenienza cinese “il tutto indorato e rabescato bizzarramente sopra una vernice nera composta di una materia che si cava dalla scorza di un albero”.
Le merci assumevano la denominazione dal porto di imbarco; così le lacche cinesi o giapponesi furono chiamate dai francesi genericamente “coromandel
l” dal nome della costa sud-orientale dell'India.
Insieme alle porcellane, le lacche rappresentavano un necessario status symbol, di ricercatezza e di eleganza nei palazzi principeschi e nelle ville signorili d'Europa.
I pannelli laccati, lavorati interamente sul luogo, molto spesso ricavati da scomposizioni di paraventi erano utilizzati per decorare mobiletti o ripiani di tavoli. Nacquero così i cabinets des chinoiserie dove si conservavano gli oggetti orientali artisticamente più pregiati.
Ma accadde che la produzione del lontano Oriente non riuscì a soddisfare pienamente la crescente domanda a causa dei costi sempre più alti, conseguenti alla pluralità di intermediari; tale richiesta riguardava soprattutto i paraventi, i piccoli oggetti ed anche mobili più o meno funzionali.
Ne conseguì un palese declino della qualità dei prodotti cinesi, forse dato dall'impossibilità di mantenere un costante ed intenso ritmo di lavoro basato sulle tecniche tradizionali di tempi molto lunghi di maturazione degli alberi di rhus vernicifera e il tempo di decantazione prima e di esecuzione poi.
Con la riduzione dei tempi veniva meno necessariamente il pregio di una lavorazione curata, contrariamente a quanto accadeva in Giappone, che fu invece ritenuto la patria della vera lacca.
La laccatura in Europa
La perenne ricerca in Cina di opere, anche nelle raccolte pubbliche e private, ripristinò un certo commercio nuovamente fiorente, ma nonostante ciò ancora non sufficiente a soddisfare l'incessante domanda.
Si palesava sempre più la necessità in Occidente di considerare la possibilità di imitare le lacche orientali nonostante le lacune in campo tecnico sulle resine usate, sui solventi e sulle modalità di procedimento.
Inoltre da sempre aleggiava la leggenda secondo cui i laccatori d'Oriente fossero tenuti al segreto professionale in quanto rimasero sconosciuti per lungo tempo i componenti della lacca, fino a quando non giunsero le prime notizie più precise e si venne a conoscenza che il succo della
rhus vernicifera e l'olio essiccativo non erano reperibili in Occidente e soprattutto erano inconcepibili i tempi di lavorazione che richiedevano anche 30 anni per una sola opera.
Dalle cronache dei missionari in Cina e Giappone sappiamo che dal lattice (denominato
ch'i) e mischiato nelle proporzioni da 6 a 7 con l'olio estratto dal seme di una pianta (la
giugiulea) si ricavava la lacca, che poteva essere variamente colorata e che si usava come rivestimento delle superfici non solo di scrittoi, sedili, tavoli, ma anche di pareti e pavimenti: da qui la ricerca di qualche altra composizione che, anche se imperfetta, potesse sostituire la lacca cinese.
La ricetta che predominò presso i laccatori europei fu quella secondo l'eremita agostiniano Eustacchio Jannard (“
prendere della gommalacca molto pura, metterla in un vaso di vetro, coprirla fino a 4 dita di buon spirito di vino, tapparla, e metterla al sole per 3 o 4 giorni, …quando la gomma è sciolta la si passa per una tela e la si mette a riposare per un giorno, dopo di chè la vernice è fatta. Si prende la parte superiore che galleggia spandendola leggermente con pennello su legno…e ciò per più volte, facendo attenzione a lasciar seccare uno strato prima di dare il successivo”).
Alle volte, però, si fece pervenire dall'Oriente la materia prima per poi usarla in Europa alla maniera dei laccatori cinesi.
Testo fondamentale dell'epoca fu il
Trattato sopra la vernice detta comunemente cinese, in cui si dice che la lacca italiana avrebbe avuto le medesime proprietà della cinese e quindi non sarebbe stata inferiore alla stessa. In seguito tutte le pubblicazioni italiane e straniere si rifecero a tale concetto.
Verso la metà del '700 gli ebanisti francesi e fratelli Martin, rielaborando le antiche formule, produssero una vernice, riconosciuta nel 1744 anche dallo stesso re Luigi XV; essa venne promossa in Francia come lacca occidentale comunemente usata.
Il 1693 (Vincenzo Coronelli descrisse con dettaglio scientifico il metodo usato per la laccatura dei suoi famosi mappamondi) e il 1770 (
Dizionario delle arti e mestieri di Francesco Grisellini) segnano le due date estreme del periodo di maggior diffusione delle imitazioni europee della lacca; in quegli anni non si denotarono particolari mutamenti del metodo in quanto, ad esempio, anche l'antico uso dell'olio di lino cotto come solvente veniva ancora indicato come preferibile all'alcol.
Così, i laccatori e i
depentori (a Venezia) perdurarono per l'intero periodo di fioritura della lacca ad usare metodi sostanzialmente affini per cui i segreti di ciascuno non furono che accorte variazioni degli stessi elementi; principalmente si coltivarono e svilupparono tecniche e procedimenti in Olanda, Francia, e Inghilterra e tutte presero il nome francese di
vernis.
Componenti essenziali erano le resine (sciolte in alcol per divenire fluide) con l'aggiunta talora di bitume, ambra o albume d'uovo. Fra le sostanze resinose vi erano la gommalacca, la sandracca, quest'ultima più facilmente reperibile, meno costosa, ricavabile per mezzo di incisioni da una piccola conifera africana ed elemento connotativo della lacca veneziana, e il mastice, estratto invece da un arbusto sempreverde, di una colorazione tra il verde e il giallo chiaro.
La lucidatura consisteva nel passare più mani (dalla 15 alle 18) sino a raggiungere lo spessore di 2 mm.
Il mobile dipinto si distingue da quello laccato proprio per la differenza di spessore e composizione di tale vernice e per la tecnica di applicazione: nelle lacche veneziane lo spessore arriva nello specifico ai 2 mm.
La “mecca” invece era una resina gialla proveniente dall'omonima città araba, il cui impiego era destinato ai fondi dorati in luogo delle più costose foglie d'oro, e richiedeva lunghi archi di tempo per la stesura dei numerosissimi strati e per le levigature.
Il legno di supporto doveva essere idoneo a contrastare mutamenti climatici, senza incorrere in curvature, poi sottoposto alla fase della stuccatura e della levigatura con carta vetrata o pietra pomice per eliminare le imperfezioni; seguivano più stesure di gesso e colla, ogni volta levigate in modo che il tocco risultasse perfetto.
A Venezia i legni largamente usati erano il cirmolo, il tiglio, il noce, tutti reperibili nelle Prealpi Venete.
Quindi si passava al disegno, alla pittura a tempera ed infine alla laccatura (tanti strati sottili alternati a fasi di asciugatura); ogni strato laccato, allo stesso modo delle stuccature, veniva levigato prima di ricevere il successivo.
Tutti questi passaggi richiedevano una solerte e minuziosa lavorazione al riparo di polvere e umidità, al fine di conseguire una sufficiente corposità della materia e dunque avvicinarsi il maggiormente possibile all'abilità tecnica orientale.
I francesi, che furono tra i primi importatori di lacche dall'India e in particolare dalla costa del Coromandel, determinarono così, in questo periodo, la diffusione del proprio stile in tutta Europa.
Capostipite della più famosa dinastia di ebanisti fu Charles Boulle a cui seguirono i già citati fratelli Martin, i Dubois e gli artisti olandesi (Pierre Goelle) attivi presso la manifattura dei Gobelins, istituzione voluta da Luigi XIV in cui si riunirono tutte le attività artigianali compresa la famosa arazzeria.